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La rivolta sui muri di Tunisi

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I muri come un libro a cielo aperto su cui poter leggere il dibattito della società civile che ha animato il complesso periodo della transizione tunisina tra la rivoluzione del gennaio 2011 e le elezioni dell’ottobre 2014. Ne parla Luce Lacquaniti, giovane arabista e interprete, nel suo libro “I muri di Tunisi. Segni di rivolta” (Exòrma Edizioni, 2015, 192 pagine), presentato allo spazio Lang’art a Tunisi, proprio dove tutto ha avuto inizio.

“Per le scritte sui muri ho un interesse particolare – spiega l’autrice, laureata in Lingue e civiltà orientali, approdata per la prima volta in Tunisia nel 2010 per poi ritornarci per un intero anno tra il 2012 e il 2013 -: le documento da tempo, nella mia città così come in tutte quelle in cui transito. Le scritte sono un mezzo di espressione spontaneo e alla portata di tutti. La prima volta che ho messo piede a Tunisi, prima della rivoluzione, i muri erano bianchi, al mio ritorno, nel post rivoluzione, gli stessi luoghi erano ricoperti di parole. Questo fatto mi ha molto colpito e l’ho interpretato come sintomo di un nuovo clima di libertà di parola e della volontà dei cittadini comuni di partecipare al dibattito collettivo, per riappropriarsi degli spazi pubblici dal basso. Così ho cominciato, attirata sia dalla lingua che dal significato politico che queste scritte avevano in sé, a fotografare i graffiti e le immagini che trovavo per la capitale tunisina. Alla fine mi sono ritrovata con più di cento foto e ho pensato potesse essere un progetto interessante: così è nata l’idea di pubblicare le foto, tradotte e commentate”.

Per documentarsi ulteriormente, Lacquaniti per un po’ di tempo ha fatto la pendolare tra Roma e Tunisi. Il libro racchiude le diverse anime del dibattito che ha animato la Tunisia negli ultimi anni: dai discorsi sulla natura della rivoluzione, ai fatti salienti del periodo, al rapporto tra politica e religione, alla questione femminile. La varietà degli argomenti va di pari passo con la ricchezza dei registri utilizzati: dall’arabo classico, al tunisino, al francese, si va da poche frasi standard e semplici verbi imperativi, fino a slogan più elaborati, metafore ricercate e un fiorire di rime baciate.

I muri dunque come testimoni della Storia, portatori di un dibattito spontaneo e pubblico, dal basso, in opposizione alla documentazione ufficiale – istituzionale – mediatica, come mezzo d’espressione usato trasversalmente da ogni cittadino: giovani radicali, conservatori, islamisti, colti, ignoranti, benestanti, poveri. Il tutto creando un dibattito prima impensabile, in seno alla società civile, i cui contenuti sono gli stessi che vengono discussi nelle case, a scuola, nell’assemblea costituente, sui giornali, nei negozi e nei caffè. Lacquaniti durante l’incontro ha proiettato alcune foto degli stessi che possono in qualche modo riassumere il periodo ducumentato e che spesso rompono i cliché dell’Occidente attorno alla Tunisia e alla sua cosiddetta “Rivoluzione della dignità”.

Come le tre scritte sui portici in Avenue de France: in nero “Vivva la Tunisia libera e democratica” (c’è un errore di ortografia), in rosso “I rivoluzionari dicono: non potete prenderci in giro” e a matita “Non c’è altro dio al di fuori di Dio e Maometto è il suo profeta”.

“Tre scritte per tre anime del Paese a confronto – spiega l’autrice -: la frase in nero riecheggia scritte simili comparse all’indomani della rivoluzione in diverse parti della città; quella rossa esprime scetticismo riguardo all’avvenuto raggiungimento degli obiettivi della rivoluzione, mentre la terza frase è la professione di fede musulmana, che denota la presenza degli islamisti: era il 2012 e Ennahda aveva già vinto le elezioni”.

Oltre alle scritte di anonimi cittadini, forte la presenza di collettivi – tra cui Zwewla, Molotov, movimento Fiq, Ahl al-Kahf – e writers: “In Tunisia sono fioriti gruppi che si firmano con i loro nomi e hanno veri e propri principi, spiegati nel loro manifesto. Da ciò si distinguono, ad esempio, dalle crew italiane, che marcano per di più il territorio, abbellendolo. I gruppi tunisini invece hanno spesso un contenuto e una portata intellettuale – filosofica”.

Nel dibattito non manca nemmeno quello intorno al corpo della donna, in una foto scattata nella villa dei Trabelsi alla Marsa.

“Accanto al corpo nudo della ragazza, troviamo un gioco di parole – prosegue Lacquaniti -: nella locuzione “libertà d’espressione” la parola araba per “libertà”, “hurriyya”, è stata sostituita da “huriyya”, la “vergine del paradiso” promessa al musulmano nella vita ultraterrena. Un murales che contrappone due visioni del corpo della donna: da una parte chi parla della libertà della donna e dall’altra coloro per cui la donna deve arrivare vergine al matrimonio e poi il suo corpo diventa proprietà dell’uomo. Qualcuno ha poi cercato di censurare l’immagine spruzzando vernice blu a coprire i seni e gli occhi. Il blu è anche il colore del partito Ennahda: un caso oppure no?”.

Ma dopo quattro anni, i muri cosa sono diventati? “Dal 2014 – conclude – il materiale ha cominciato a diminuire e questa forma di espressione ha cominciato a perdere la sua forza perché è stata istituzionalizzata. Ho la sensazione di avere documentato un periodo che si è concluso. Molti dei luoghi chiave che ho fotografato sono stati imbiancati e nessuno ci ha più scritto: all’inizio ho pensato fosse un sintomo, la rassegnazione e disillusione, come se il dibattito politico si fosse esaurito. Ma i writers stessi hanno sottolineato come ormai le scritte e i graffiti abbiano perso la loro forza e sia tempo di trovare un altro modo per esprimersi”.


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